Il concorso di persone nel reato di violenza sessuale e la violenza sessuale di gruppo

Quando più soggetti insieme realizzano un reato si  configura il cd. concorso di persone. Tale figura è indicata come concorso eventuale per distinguerlo da quello cd. necessario, nel quale la pluralità dei soggetti attivi è imposta dal legislatore tra gli elementi costitutivi del reato.

Il codice penale non fornisce alcuna definizione dell’istituto in esame , ma si limita a disciplinarne il trattamento sanzionatorio nel capo terzo del titolo quarto della parte generale.

La nozione giuridica può tuttavia ricavarsi sia dell’art.110 cp, sia a contrario dall’analisi della struttura delle fattispecie criminose a concorso necessario.

Si tratta di una particolare forma di crimine, consistente nella manifestazione plurisoggettiva di un reato astrattamente monosoggettivo, come tale realizzabile anche da un solo soggetto attivo.

Il fondamento storico-politico della responsabilità concorsuale va ricercato nella crescente complessità della vita di relazione che reca con sé l’incremento delle forme di criminalità collettiva o organizzata, e nel principio di ordine etico, in base al quale l’individuo sarà imputabile per le conseguenze della sua condotta e di quelle prodottesi per effetto dell’interazioni con altre forze esterne, naturali o umane. Si tratta di azioni che si integrano reciprocamente, perdono il loro carattere individuale per diventare parte di un fatto unico e comune a ciascun concorrente.

Di conseguenza, il reato, in quanto risultato  prevedibile di un’operazione comune, finisce per essere attribuito per intero a titolo di colpa o di dolo a ciascun agente che ne risponderà come fatto proprio.

Negli ordinamenti a legalità sostanziale,  nei quali predomina la concezione materiale del reato,  la punibilità del concorso è sganciata da un’apposita previsione incriminatrice, in quanto ogni autore del reato è un soggetto che ha posto in essere un’azione socialmente pericolosa, ed è, quindi, meritevole di sanzione. In tali sistemi vale la cd. concezione estensiva dell’autore che fissa il principio di equivalenza ontologica di tutte le condotte colpevolmente causali o pericolose. Sicchè, l’incriminazione discende da una sorta di estensione analogica della norma incriminatrice di parte speciale.

Negli ordinamenti a legalità formale, invece, l’incriminazione del concorso di persone del reato deve poggiare su apposita base legale, prevalendo una concezione cd. restrittiva dell’autore, secondo la quale il soggetto attivo è solo colui che realizza integralmente tutti gli elementi costitutivi della fattispecie.

Tale impostazione, però, apre il varco alla impunibilità di condotte atipiche; per questo è sorta la necessità che una norma generale incriminatrice del concorso tipizzi e renda punibili azioni non perfettamente integranti la condotta descritta dalla norma di parte speciale.

Ciò avviene con l’art. 110 del codice Rocco; tale clausola ha la precipua funzione di integrare le disposizione di parte speciale ritagliate sull’autore individuale e di recuperare la tipicità di tutte quelle azioni che apportano un contributo causale, ma che da sole non sono sufficienti a integrare gli estremi della singola fattispecie.

La configurazione normativa delle fattispecie concorsuali ha sempre risentito delle opposte esigenze di parificare o differenziare la responsabilità e la punibilità dei concorrenti.

Infatti, se la tradizione legalista dell’ottocento è stata ispirata al principio di tassatività e ha adottato un modello di differenziazione dei ruoli rivestiti dai concorrenti, il positivismo naturalistico e criminologico di matrice lombrosiana e ferriana, sotteso al codice Rocco, ha, invece, imposto un modello unitario di pari responsabilità dei concorrenti. Ha, infatti, esaltato il valore sintomatico dei singoli contributi e la loro maggiore pericolosità sociale.

L’indebolimento del principio di determinatezza ha inevitabilmente accentuato il ruolo dell’interprete, chiamato ad adeguare la sanzione all’effettivo disvalore delle singole condotte tutte unitariamente inquadrate nella medesima cornice edittale. In questo contesto livellato la funzione dell’art. 114, sul contributo di minima importanza, appare di notevole rilievo al fine di superare l’ingiustizia di una equiparazione cieca per situazioni diverse.

Orbene, la figura del reato concorsuale nasce dalla integrazione tra la norma generale di cui all’art. 110 cp e la singola norma integratrice di parte speciale. Quattro sono gli elementi comunemente intesi come costitutivi: la pluralità di agenti; la realizzazione di un fatto materiale di reato; il contributo di ciascuno alla realizzazione di esso; il dolo o la colpa della partecipazione.

La pluralità di agenti costituisce il primo e il più tipico dei requisiti menzionati, in quanto connaturato al concorso. Nei reati monosoggetivi può trattarsi di due soli individui; nei reati plurisoggettivi occorre la partecipazione di almeno una persona in più rispetto a quelle che sono essenziali per la realizzazione della fattispecie criminosa.

Tuttavia, non è necessaria la punibilità di ciascuno dei concorrenti: l’area del concorso non sempre coincide con quella della punibilità. Nel nostro codice non mancano disposizioni che rivelano l’intento di includere nel novero dei concorrenti anche soggetti non imputabili o non punibili. A tal proposito  si possono citare l’art. 11, che inserisce la condotta di chi determina a commettere un reato una persona non imputabile o non punibile nel capo dedicato al concorso di persone; l’art. 112 che sancisce un aggravamento di pena anche per quel partecipe non imputabile o non punibile; e, infine, l’art.119 cp, in base al quale le circostanze soggettive che escludono la pena per taluno di coloro che ha concorso nel reato hanno effetto riguardo alla persona alla quale si riferiscono.

Il secondo requisito, ossia la realizzazione di un fatto costituente reato, non pone particolari problemi interpretativi, poiché trova nel codice una disciplina coerente con i principi di materialità e di offensività che ispirano il nostro ordinamento penale. Dunque, perché si abbia concorso nel reato occorre che si realizzino i requisiti necessari per la sussistenza di una fattispecie penalmente rilevante, consumata o tentata, essendo riconosciuta la punibilità del concorso nel delitto tentato, e non del tentativo di concorso.

Logico corollario di quanto sopra è la non punibilità del mero accordo delittuoso, sempre che il reato non sia commesso. Ai sensi dell’art. 115 divengono punibili solo i casi espressamente previsti dalla legge e fatti salvi dalla clausola di riserva dello stesso art. 115. Al di fuori della detta area residua una rilevanza penale ai fini dell’applicazione di una misura di sicurezza, in quanto comunque le condotte poste in essere sono sinonimo di pericolosità sociale.

Passando al quarto requisito elencato, ossia all’elemento soggettivo, solo per comodità argomentativa, il dolo del concorso postula la coscienza e volontà del fatto criminoso, e la volontà di concorrere con altri alla realizzazione del reato. Per verificare la sussistenza dei menzionati elementi è sufficiente utilizzare le medesime coordinate elaborate da dottrina e giurisprudenza per le ipotesi di reato monosoggetivo.

In particolar modo, quanto alla volontà di concorrere con altri, essa è sicuramente l’aspetto peculiare nel reato plurisoggettivo. Non presuppone, come ritenuto in passato, un previo accordo, ma la consapevolezza e la volontà di concorrere, anche di tipo unilaterale, nell’altrui condotta. Dunque, è necessario che vi sia la consapevolezza di almeno uno dei concorrenti. Non ci potrà essere concorso, invece, se un soggetto agisce all’insaputa degli altri.

Il terzo dei requisiti del concorso indicati è il contributo di ciascun concorrente, il quale deve sostanziarsi in una condotta materiale, non potendosi attribuire alcun rilievo alla mera adesione psicologica al fatto illecito, in ossequio al principio in base al quale “Nessuno subisce la punizione del pensiero”.
Tale contributo può assumere la forma del concorso materiale o del concorso morale.
Ricorre la prima ipotesi quando il soggetto contribuisce personalmente al compimento di uno o più atti che costituiscono l’elemento materiale del reato. Pur non esistendo nel codice una classificazione, la dottrina suole schematizzare la figura dell’autore, ossia di colui che pone in essere l’azione esecutiva, e quella del partecipe, che si identifica in colui che, senza realizzare l’azione tipica, arreca un aiuto qualsiasi.
Il concorso morale, invece, ricorre quando la condotta dell’agente si esplica sotto forma di impulso psicologico a un fatto materialmente commesso da altri. Tradizionalmente si distingue il determinatore, ossia colui che fa sorgere il proposito criminoso, e l’istigatore , cioè colui che rafforza un proposito già insito nell’agente.
 

Orbene, alla luce di quanto argomentato, in applicazione delle superiori coordinate alla fattispecie disciplinata dall’art. 609 bis cp, si può trarre come il concorso nel reato di violenza sessuale sia configurabile nella forma del concorso morale, nella  declinazione commissiva, con l’autore materiale, qualora il concorrente non sia presente sul luogo del delitto. In caso contrario sarebbe partecipe del delitto di violenza sessuale di gruppo.

Infatti, la fattispecie descritta dall’art. 609 bis, di natura residuale, si configura a contrario quando non vi siano più persone riunite come ai sensi del seguente art. 609 octies, ed è a concorso eventuale, in quanto astrattamente monosoggettivo.

A differenza di altri sistemi penali, il nostro applica il principio della pari responsabilità dei concorrenti, ricomprendendo nella figura dell’istigatore ogni forma di partecipazione psichica ex art.115, co.3.  Infatti, dalla detta norma si deduce a contrario la perseguibilità a titolo di concorso della istigazione accolta.

Come ovvio, si pone la necessità di delimitare le condotte idonee a integrare un concorso nel reato. Distinguendole da quelle penalmente irrilevanti. Ebbene, il discrimine non può che essere l’efficienza causale o quantomeno agevolatrice del contributo morale. Di conseguenza non ricorrerà la fattispecie del concorso quando il soggetto destinatario dell’istigazione sia già assolutamente determinato a commettere il reato.

Anche la condotta omissiva può assumere rilievo nella fattispecie concorsuale.

In particolar modo, dal combinato disposto degli artt. 40, co. II, 110 e 609 bis, cp , viene integrato il concorso omissivo in violenza sessuale se sul soggetto agente grava una posizione di garanzia nei confronti della vittima. Il soggetto attivo in dette ipotesi, pur avendone la concreta possibilità, conoscendo o potendo conoscere dell’evento lesivo, non lo ha impedito.

Dunque, l’omissione dovrà essere una condizione necessaria o quantomeno agevolatrice nella realizzazione della violenza sessuale, e dovrà costituire la violazione dell’obbligo giuridico di impedire il reato.

La mera connivenza funge, quindi, da confine esterno alla struttura del concorso per omissione. Infatti, su chi assiste alla perpetrazione di un reato senza intervenire, non avendo l’obbligo giuridico di impedirne la commissione, non ricade  alcuna responsabilità.  Nel nostro ordinamento non incombe a carico dei cittadini alcun obbligo di impedire i reati, salvo per gli appartenenti alla forza pubblica, per le guardie giurate, per i titolari di poteri di educazione e istruzione e per coloro che rivestono determinate qualifiche.

La giurisprudenza, pertanto, è particolarmente rigorosa nell’affermare la responsabilità penale di coloro che si trovano sui luoghi del reato, stante la notevole efficacia rafforzativa dell’altrui proposito criminale. Ne consegue che nell’ipotesi disciplinata dall’art. 609 octies, a concorso necessario, il legislatore ha costruito una fattispecie autonoma di reato, ove la pluralità dei soggetti attivi assurge a elemento costituivo di una nuova e diversa ipotesi criminosa. Quale raro esempio di tecnica di formulazione della fattispecie a contenuto didascalico, è stato chiarito come sia necessario che più persone siano riunite e partecipino alla violenza di gruppo.

La partecipazione, tuttavia, in senso letterale rischia di vanificare la portata innovativa della norma, in quanto potrebbe relegare il partecipe che si astiene da comportamenti materiali a semplice concorrente morale nel reato monosoggettivo. È però di tutta evidenza come colui che si limiti a guardare l’aggressione di gruppo rafforza e sostiene l’azione criminosa, indebolisce le residue capacità reattive della vittima, e riflette un maggior disvalore sociale.

Per questo rileva precisare in cosa debba sostanziarsi la condotta collettiva che in un’identità di spazio e tempo fa scattare il più gravoso meccanismo sanzionatorio dell’art. 609 octies.  Non è richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente qualunque contributo causale alla commissione del reato, né è necessario che tutti i soggetti assistano, essendo sufficiente la loro presenza nel luogo e nel momento in cui vengono posti in essere gli atti violenti.

Ciò che qualifica e contraddistingue la suddetta ipotesi e il concorso di persone nel reato di violenza sessuale appare, dunque ,segnato dalla previsione normativa della necessità che la pluralità di agenti si traduca nella presenza di più persone riunite nel medesimo contesto spazio-temporale del fatto di reato.

L’atto sessuale, infatti, può essere commesso a turno o da uno solo soggetto, ma la presenza di tutte le persone coinvolte è l’elemento idoneo a eliminare o ridurre la forza di reazione della vittima.

Ciò porta a escludere la configurabilità dell’art. 609 octies laddove la vittima non abbia la percezione del contributo casuale del terzo. In questi casi, quindi, si applicherà il combinato disposto dell’art.110 con l’art. 609 bis, proprio perché deficita la maggior forza intimidatrice sottesa all’ipotesi più grave.

In conclusione, l’art. 609 octies definisce come la menzionata pluralità soggettiva, lungi dal rappresentare un indice di aggravamento della pericolosità della condotta e della pena, assurga a elemento costituivo di una nuova e diversa fattispecie. Irrilevante appare il ruolo svolto in concreto dai compartecipi, ben potendo la loro simultanea presenza indebolire la capacità di resistenza della vittima e  giovare, quale incoraggiamento, a colui che pone l’atto di aggressione.

Il mero concorso nel reato di cui all’art. 609 bis, invece, può ammettersi, come argomentato, nella sola ipotesi di quello morale, ossia allorquando il terzo pur non partecipando agli atti di violenza, pur non  presente sul luogo del delitto,  abbia istigato, consigliato, aiutato, o agevolato il singolo autore materiale, e, cioè abbia posto tutte quelle condotte che normalmente vengono sussunte sotto la fattispecie del concorso morale, appunto.

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