24 marzo 1944, Cave Ardeatine, fu adempimento di un dovere?
Oggi 24 marzo ricorre l’anniversario funesto della strage delle Cave Ardeatine.
Le vittime furono 335, quindici in più del decuplo di soldati tedeschi caduti nell’attentato teso da partigiani italiani dell’organizzazione clandestina di resistenza alle forze tedesche occupanti. Dopo l’armistizio divennero forze armate nemiche.
La strage fu una rappresaglia, dunque un legittimo atto di guerra, o un reato di violenza contro persone private nemiche ex artt. 13 e 185 cpmg? Le SS erano forze armate straniere, e, quindi, assoggettate alla giurisdizione penale militare italiana? O avrebbe dovuto operare la scriminante dell’adempimento del dovere?
Ebbene, nel 1998, premessa l’astratta applicabilità dell’art.4 cpmp, in quanto più favorevole all’esimente generale ex art. 51 cp, la Suprema Corte la escluse per gli imputati Priebke e Hass. Fu osservato che per i cinici criteri di selezione delle vittime, per la sproporzione fra vittime e soldati tedeschi morti, per le efferate modalità di esecuzione dell’eccidio fu una vicenda macroscopicamente criminosa, legittimamente da disobbedire.
Fu rinvenuta una chiara adesione psichica degli imputati all’ordine loro impartito, ovvero i convincimenti ideologici-razziali e l’indifferenza alle sorti delle vittime. Non fu riconosciuto lo stato di necessità in caso di rifiuto all’obbedienza, gli imputati avrebbero subito minimi pregiudizi, tali da non mettere in pericolo la propria vita.
Anzi, dalle risultanze processuali emerse che alcuni soldati tedeschi svennero, addirittura piansero, e si rifiutarono di sparare. Ma tant’è…