Il mancato adempimento delle obbligazioni civili (risarcimenti e spese di giustizia) ai fini della riabilitazione
La seconda condizione ostativa alla riabilitazione consiste nel mancato adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, in assenza della prova da parte del condannato di essersi trovato nell’impossibilità di adempierle ai sensi dell’art. 179, co. 6 n. 2 codice penale: ciò costituisce una applicazione specifica della dimostrazione della buona condotta che il riabilitando deve fornire.
Il primo sintomo dell’avvenuta risocializzazione del condannato, infatti, è costituito dal positivo interessamento di quest’ultimo nei confronti dell’offeso dal reato, concretatosi nella fattiva riparazione delle conseguenze determinate dalla propria condotta illecita; viceversa, l’assenza ingiustificata di qualsivoglia interessamento in tal senso costituisce sintomo del mancato processo di risocializzazione.
Le obbligazioni civili derivanti dal reato sono quelle indicate negli artt. 185 ss. c.p.: l’obbligo del risarcimento del danno e delle restituzioni, ma anche la pubblicazione della sentenza come forma di riparazione del danno e quello di rifondere allo Stato le spese processuali (cd. spese di giustizia).
L’obbligo di adempiere le obbligazioni civili derivanti da reato rileva anche qualora esse non siano richieste (ad es. con la costituzione di parte civile) nè siano state dichiarate né dalla sentenza penale di condanna, oggetto della richiesta riabilitazione, né da alcun’altra sentenza, penale o civili.
Ciò perché è condizione prevista dalla legge e discendente dal fatto stesso del reato, sicché non occorre che essa risulti dalla sentenza di condanna.
La Suprema Corte addossa quindi al condannato, nel caso che la persona danneggiata non abbia avanzato richieste risarcitorie, l’onere di assumere l’iniziativa della consultazione con quest’ultima per l’individuazione di un’adeguata offerta riparatoria, eventualmente in via equitativa per il ristoro degli interessi della collettività. Sono ininfluenti, ai fini della valutazione dell’impossibilità di adempiere le obbligazioni civili derivanti dal reato, sia la circostanza che le persone offese non si siano costituite parte civile nel processo sia che esse non abbiano chiesto al condannato un ristoro dei danni patiti a causa della sua condotta di reato.
Anche in relazione ad una sentenza di patteggiamento, il giudice è tenuto ad accertare se il condannato che richiede il beneficio si sia in qualche modo attivato al fine di eliminare le conseguenze civilistiche derivate dalla sua condotta criminosa ovvero quali siano le ragioni per le quali il medesimo sia stato nella impossibilità di adempiere le obbligazioni civili nascenti dal reato ascrittogli.
L’eventuale impossibilità di adempimento delle obbligazioni civili sussiste quando il condannato pur non essendo indigente, non dispone di mezzi patrimoniali che gli consentano di eseguire il risarcimento stesso senza subire un sensibile sacrificio o le parti offese abbiano rinunciato al risarcimento oppure siano irreperibili. In particolare, nel senso che non è necessario che l’interessato versi in stato assoluto di povertà, ma è sufficiente che non possa adempiere senza subire un sensibile sacrificio per sé o per la propria famiglia, senza che però sia sufficiente ad es. la circostanza dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
La dichiarazione di fallimento del debitore e la successiva sua ammissione al concordato fallimentare, poi omologato ed eseguito, costituiscono prova dello stato di insolvenza dello stesso e della di lui impossibilità di adempiere in maniera integrale anche le obbligazioni civili nascenti dal reato, ma solo con riferimento al periodo di tempo immediatamente contiguo alla chiusura della procedura fallimentare.
In ogni caso, sussiste a carico dell’interessato uno specifico onere probatorio di avere fatto quanto in suo potere per adempiere alle obbligazioni civili derivanti dal reato ovvero di dimostrare la impossibilità di adempiervi .
Tale dimostrazione deve consistere in elementi oggettivi concernenti gli introiti disponibili e il carico familiare; essa non può ritenersi raggiunta con un’autocertificazione generica, di contenuto valutativo, con la quale si faccia riferimento a un concetto di sufficienza delle entrate limitata al mantenimento della famiglia, implicante un giudizio meramente soggettivo che non consente al tribunale un controllo di conformità al vero .
Inoltre, qualora sia certa ed incontestata la percezione di un reddito da parte dell’interessato, quest’ultimo deve dimostrare quantomeno un suo intento risarcitorio in misura compatibile con le proprie entrate
. Ai fini della dimostrazione della rinuncia della vittima del reato alle pretese risarcitorie, sono inutilizzabili le dichiarazioni di questa, se autenticate da professionista che non riveste la qualifica di difensore o di sostituto del difensore del condannato o comunque se non documentate con l’osservanza delle formalità prescritte dalla normativa sulle indagini difensive .