Stop ai pagamenti in denaro dei propri dipendenti, buste paga gonfiate e delitto di estorsione
La Legge di Bilancio 2018 introduce, a partire dal 1° luglio, l’obbligo per i datori di lavoro di retribuire i propri dipendenti esclusivamente attraverso mezzi che ne consentano la tracciabilità, ciò nel tentativo di tutelare il prestatore di lavoro evitando che spesso si veda ricevere una retribuzione differente da quella stabilita nella busta paga, magari pure firmata.
Il detto fenomeno è molto diffuso nella realtà, per l’esperienza del nostro studio soprattutto tra gli insegnanti delle cd scuole paritarie, le quali non di rado concedono un mero “obolo” ai docenti, e non quanto previsto dai CCNL.
Ad ogni buon conto, la nuova normativa prevista al comma 910, art. 1, L. n. 205 del 27 dicembre 2017, si applica ai rapporti di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2094 cod. civ., ai co.co.co. e ai rapporti di lavoro instaurati tra le cooperative e i propri soci, rimangono viceversa esclusi i rapporti di lavoro con la Pubblica Amministrazione e quelli inerenti agli addetti ai servizi familiari e domestici (colf e badanti).
Sulla base di tale obbligo dunque la retribuzione, ma anche solo gli anticipi della stessa indipendentemente dalla loro entità, dovranno essere corrisposti al lavoratore attraverso determinati strumenti, ossia tramite bonifico bancario o postale, pagamenti elettronico (carte di credito, debito, ecc.), attraverso pagamento in contanti presso uno sportello bancario o postale dove il datore stesso abbia un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento, o con la consegna di assegno bancario o circolare al lavoratore stesso.
Le nuove regole prevedono che la firma della busta paga da parte del lavoratore non costituirà in alcun modo prova dell’avvenuto pagamento.
Il sistema sanzionatorio commina multe da un minimo di € 1.000,00 ad un massimo di € 5.000,00 per il datore di lavoro o per il committente che trasgredisce la normativa in oggetto.
Per completezza si segnala la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione penale, datata 7 giugno 2018 n. 25979, secondo la quale integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando della situazione del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia larvata di licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retributivi deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate, in particolare consentendo a sottoscrivere buste paga attestanti il pagamento di somme maggiori rispetto a
quelle effettivamente versate.