La costruzione difforme dal titolo urbanistico citato nell’atto di acquisto non inficia la validità dell’atto stesso
In presenza nell’atto di compravendita della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata rispetto al titolo menzionato.
L’abusivismo, quindi, si combatte con altri strumenti, secondo la Suprema Corte, ossia con i rimedi di stampo pubblicistici, che divergono dalle sanzioni di natura civilistica.
Si consiglia la lettura da ultimo della sentenza emessa dalla Cassazione civile sez. II, 21/10/2021, n.29317.
Ancor prima l’argomento fu deciso dalle Sezioni Unite con decisione del 22 marzo 2019 n.8230, le quali statuirono che in tema di contratti aventi ad oggetto diritti reali su immobili, sussistendo il requisito di forma richiesto dalla legge, ossia la indicazione degli estremi del permesso di costruire o dell’istanza di sanatoria, l’eventuale difformità sostanziale della costruzione rispetto al titolo abilitativo non comporta nullità del contratto, ma rileva in termini di inadempimento e giustifica la risoluzione del contratto.
Infatti, la nullità di tipo “testuale” comminata dall’art. 46 d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli art. 17 e 40 l. n. 47 del 1985 colpisce gli atti tra vivi a effetti reali elencati nelle norme che la prevedono nei soli casi di mancata menzione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile o di menzione falsa perché riferita a un titolo che non esiste realmente o non riguarda quell’immobile.
Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della
costruzione realizzata al titolo menzionato.