Autonomia negoziale e atti gratuiti atipici, donazioni indirette e promesse disinteressate
L’autonomia negoziale è il potere che l’ordinamento riconosce ai privati al fine di autoregolamentare i loro interessi personali e patrimoniali, e si fonda sull’art. 1322 cc., dettato in ambito contrattuale, ma estensibile anche alla generalità dei negozi. Esso attribuisce alle parti la potestà di determinare il contenuto del contratto al comma 1, e quello di concludere contratti che non appartengono a tipi aventi una disciplina particolare al comma 2.
Nel primo caso l’autonomia delle parti deve svolgersi “nei limiti imposti dalla legge”, nel secondo caso la libertà privata è più circoscritta, poiché il contratto deve essere diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
L’interpretazione restrittiva l’art. 1322, co.II, c.c. riconosce all’autonomia privata la facoltà di dar vita a contratti atipici, purchè non illeciti, ossia non contrari alle norme e ai principi dell’ordinamento.
Secondo un orientamento estensivo, invece, la predetta norma subordina l’esercizio dell’autonomia negoziale alla condizione che il contratto non sia soltanto lecito, ma al fatto che persegua interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento, socialmente utili e apprezzabili. Infatti, in base a tale concezione l’autonomia negoziale è subordinata a una utilità sociale e intanto può esplicarsi in quanto diretta a realizzare tale finalità.
Del resto, nella relazione di accompagnamento al codice civile l’autonomia privata è riconosciuta a condizione che gli interessi sottesi non siano meramente utilitaristici, ma in qualche modo agganciati a superiori interessi di carattere sociale.
Per molto tempo in applicazione della tradizionale teoria della causa in concreto sono stati sovrapposti i concetti di causa e di tipo, e parimenti il giudizio sulla meritevolezza e quello sulla causa, intesa come funzione economico-sociale dello schema negoziale astrattamente prospettato dalle parti.
Quindi, per i contratti tipici, l’inserimento all’interno dello schema contrattuale ha implicato automaticamente l’esistenza e la validità della causa . La conseguenza di ciò è stata che l’indagine sulla causa si esauriva in quella sul tipo e sull’inquadramento nel detto schema tipico.
Invece, per i contratti atipici occorreva effettuare un controllo sulla meritevolezza dell’interesse perseguito dalle parti, dunque sulla causa, che ex art. 1322 cc doveva essere valida e adeguata.
L’affermazione della teoria sulla cd causa in concreto ha evidenziato le differenze concettuali e concrete fra l’atipicità sottoposta al controllo di cui all’art. 1322 e la causa del singolo e concreto contratto.
Anche i contratti tipici, pertanto, sono sottoposti al vaglio della causa effettivamente perseguita dalle parti, nonostante la meritevolezza astratta dello schema utilizzato.
Sicchè, anche questi potrebbero essere privi di una funzione economico-individuale apprezzabile, sebbene aderenti a una precisa species negoziale.
Negli ultimi decenni si è assistito a un ripensamento degli istituti civilistici a causa della globalizzazione e dell’evoluzione tecnologica che hanno condotto i privati all’utilizzo di nuovi schemi negoziali. Del resto, proprio l’esigenza di una più pregnante tutela dell’autonomia privata e la celerità dei rapporti giuridici condusse la giurisprudenza e dottrina a elaborare nuove teorie sulla causa del contratto, sull’atipicità delle promesse e sul negozio indiretto.
In particolare, a seguito dell’avvento della teoria della c.d. causa in concreto, si sono manifestati accesi dibattiti dottrinali sull’ammissibilità delle promesse disinteressate e il loro confine con la donazione indiretta, in quanto entrambi negozi sono connotati da spirito di liberalità, ma elusivi della disciplina dettata in tema di donazione.
Posto che i negozi gratuiti prevedono prestazioni o sacrifici patrimoniali a carico di una soltanto delle parti, costituisce species dei contratti gratuiti la donazione, caratterizzata dallo spirito di liberalità che alimenta il donante e lo porta ad arricchire il donatario a fronte del proprio corrispondente impoverimento. Nella gratuità rientrano altre tipologie contrattuali non donative, in quanto carenti dello spirito di liberalità, ma caratterizzate da una prestazione unilaterale vantaggiosa per l’altra parte. Lo spirito che sostiene il beneficiante è pertanto puramente economico-patrimoniale e si sostanzia in vantaggi economici indiretti.
I confini tra negozi gratuiti e liberali appaiono piuttosto labili; difatti, in entrambi i casi si riscontra l’assenza di una controprestazione ma, ciò che muta, è la causa che nel caso di negozio gratuito è “interessata” ovvero è riferibile ad un interesse patrimoniale della parte.
Viceversa, i contratti con spirito di liberalità sono destinati a soddisfare un interesse non patrimoniale del disponente. Del resto, lo spirito di liberalità viene definito come quel sentimento solidaristico e altruistico della parte che esegue una prestazione animata dalla volontà di arricchire il prossimo, senza avere nulla in cambio, nemmeno un vantaggio a carattere patrimoniale seppur indiretto. Quest’ultimo aspetto è proprio, invece, dei contratti a titolo gratuito nei quali viene soddisfatto un interesse patrimoniale di chi effettua la prestazione. In giurisprudenza si è soliti collocare nei casi di negozi a titolo gratuito il contratto di sponsorizzazione o di pubblicità nei quali il soggetto sponsorizzato, pur non ricevendo un vantaggio diretto, consegue indirettamente un’utilità inquadrabile nella sua fama, prestigio e visibilità suscettibile di valutazione economica.
Nei negozi con spirito di liberalità, invece, si suole distinguere tra liberalità donative, che seguono la specifica disciplina della donazione, e liberalità non donative ovvero quei negozi unilaterali o plurilaterali, diversi dalla donazione, che celano un’attribuzione patrimoniale disinteressata.
La donazione, dunque, riceve una disciplina particolareggiata molto puntuale, nella quale la causa liberale rappresenta la giustificazione e la meritevolezza del depauperamento patrimoniale a tutela dello stesso donante.
Al contrario, le liberalità atipiche o indirette sono definite dall’art. 737 cc, nella parte in cui viene individuato l’oggetto della collazione in ciò che si è ricevuto direttamente o indirettamente, e dall’art. 809 cc, concernente le liberalità risultanti da atti diversi. Sicchè rappresentano quelle attribuzioni a carattere liberale, appunto, diverse dalla donazione, della quale vengono richiamate solo alcune norme , con esclusione di quelle sulla forma solenne. Quindi, appare evidente che le donazioni indirette siano un modo atipico di arricchire un soggetto attraverso la veste formale di un qualsiasi contratto o atto unilaterale purchè connotato dal menzionato spirito di liberalità non donativo.
Nella categoria liberalità non donative si collocano in rapporto di species a genus le cd donazioni indirette, nonché altri atti che procurano un arricchimento diverso rispetto alla donazione.
Del fenomeno in oggetto, infatti, è interessata una vasta serie di negozi come l’adempimento del terzo ex art. 1180 cc, la remissione del debito ex art. 1236 cc, il contratto a favore di terzo ex art. 1411 cc, la rinuncia abdicativa, il negozio misto a donazione.
Si recupera , dunque, la teoria del negozio indiretto attraverso il quale le parti concludono un negozio giuridico con l’intenzione di realizzare gli scopi di un altro negozio, utilizzando schemi negoziali volti tipicamente verso altri obiettivi. Ciò che connota la donazione indiretta non è tanto l’effetto finale, quanto il mezzo utilizzato per conseguire il fine liberalità. Essa è caratterizzata ab interno dalla causa tipica della donazione e, dunque, dell’animus donandi, da perseguire attraverso strumenti negoziali diversi.
Sulla natura giuridica dell’istituto in esame, come è immaginabile, si sono confrontate differenti approcci sui quali è prevalsa la valorizzazione del collegamento negoziale. In base a detta opinione si configurano due negozi diversi, ma collegati: uno è il negozio-mezzo, produttivo dei suoi effetti e prescelto dalle parti quale strumento esplicito e diretto, l’altro, è il negozio-fine, accessorio e integrativo, intimamente connesso al primo. Attraverso quest’ultimo le parti colmano le differenze con il primo negozio e lo scopo ulteriore voluto. In sintesi, la donazione indiretta non sarebbe né il primo né il secondo dei negozi descritti, ma la risultante di entrambi.
Come poc’anzi argomentato, le donazioni indirette rappresentano un fenomeno variegato e dinamico, in quanto camaleonticamente possono assumere le vesti di un qualsiasi negozio. Tale atipicità ha indotto la giurisprudenza e la dottrina a interrogarsi sulla possibilità e l’utilità di ammettere nel nostro ordinamento la figura della cd. promessa disinteressata, e se, questa, sia assorbita o meno dal disposto dell’articolo 809 c.c..
Infatti, dapprima il problema si è posto in relazione all’ammissibilità di promesse a causa variabile, e di conseguenza si è esteso ai rapporti tra promesse disinteressate e donazioni indirette, in quanto sorrette entrambe dallo spirito di liberalità.
La tesi negazionista ha offerto una lettura basata sul dato sistematico e teleologico.
Invero, una promessa connotata da spirito di liberalità eluderebbe la disciplina contenuta dall’articolo 809 cc, che richiama le norme in tema di revocazione ex articoli 801 e 803 c.c., nonché quelle concernenti l’azione di riduzione ex articoli 553 e ss c.c..
Del resto, una promessa con spirito di liberalità altro non sarebbe che una donazione indiretta nella forma di negozio unilaterale al quale, tuttavia, è necessario applicare non solo le norme sulla forma della promessa ex articoli 1987, 1322, 1333 c.c., ma anche i limiti dell’articolo 809 c.c.. Di conseguenza, una promessa disinteressata non qualificabile come liberalità non donativa sarebbe ontologicamente immeritevole di tutela , poiché in violazione dei limiti imposti dall’articolo 809 c.c. che presidiano l’interesse dei terzi e, in particolare, dei legittimari.
In secondo luogo, l’orientamento in commento ha ulteriormente precisato che verrebbe snaturata l’intera disciplina delle donazioni e delle liberalità non donative, tali da renderle istituti dalla scarsa applicazione pratica in quanto, le promesse disinteressate sarebbero più appetibili, poichè prive dei vincoli predisposti per gli anzidetti istituti. Infine, lo schema della promessa potrebbe portare a negozi in frode alla legge data la mancanza di una puntuale disciplina.
In senso critico, altra parte della dottrina ha obiettato che l’impostazione negativa è coerente con le ragioni che hanno portato all’ammissibilità delle promesse atipiche; invero, l’orientamento che ne ha dichiarato la loro ammissibilità non pone alcuna distinzione fra promesse interessate e gratuite, e disinteressate e liberali. Proprio il principio dell’autonomia contrattuale e l’esigenza di celerità nei traffici giuridici impongono una massima estensione dell’ambito applicativo delle promesse, purché meritevoli di tutela.
Inoltre, poiché già le donazioni indirette derogano alla disciplina della forma solenne, non si comprende perché il fenomeno della promessa disinteressata non possa disattendere gli ulteriori limiti posti dall’articolo 809 c.c..
In ogni caso, l’affidamento dei terzi non verrebbe leso, poiché per i negozi contemplati nell’articolo 1350 c.c. è sempre necessaria la forma scritta ad substantiam.
Di conseguenza, difficilmente la promessa disinteressata può rivelarsi elusiva di norme dell’ordinamento. Infine, viene precisato che sussiste sempre un controllo del giudice sulla meritevolezza della causa in concreto, funzionale a prevenire abusi e comportamenti elusivi.
In definitiva, la portata applicativa dell’istituto della promessa disinteressata e della donazione indiretta è tuttora al centro di vivi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali che ne attestano la difficoltà di bilanciare il principio dell’autonomia privata con le guarentigie predisposte dall’ordinamento funzionali ad evitare abusi e comportamenti lesivi degli interessi dei terzi.
Del resto, i medesimi problemi si sono posti anche fra la donazione, donazione indiretta, il negozio indiretto e il collegamento negoziale, tutti istituti frutto dell’autonomia privata e dell’esigenza di celerità e concretezza dei traffici giuridici.
Sicché, inevitabilmente starà all’interprete vagliare il fenomeno negoziale alla luce della teoria della causa in concreto e dei principi fondamentali del diritto civile, cercando di risalire alla effettiva volontà delle parti e alla causa dello spostamento patrimoniale.