PRINCIPIO DI PROPORZIONE E PRINCIPIO DI PROPORZIONALITA’ NEL DIRITTO AMMINISTRATIVO PUNITIVO
Il principio di proporzione definisce il rapporto che deve sussistere tra la condotta dell’agente e la risposta sanzionatoria dell’ordinamento, fra la gravità del comportamento di questi e l’afflittività della sanzione.
Funge, inoltre, quale limite esterno al potere punitivo dello Stato. Infatti, gli artt. 3 e 27 della Costituzione sanciscono il potere-dovere dello Stato di trattare in modo diverso situazioni diverse, e di strutturare la sanzione in modo che essa possa avere effetti rieducativi sull’agente.
Tali poteri-doveri vengono realizzati dal legislatore delegando al giudice il compito di individuare, all’interno della cornice edittale normativamente prefissata, la misura e la tipologia di sanzione da applicare al caso concreto.
Il criterio della proporzione, infatti, impone un raffronto tra i mezzi e gli strumenti a disposizione dell’ordinamento, secondo un giudizio ex ante non di tipo aritmentico ma necessariamente relativistico.
Il principio di proporzionalità, come elaborato dalla giurisprudenza europea, vieta alle amministrazioni pubbliche di comprimere la sfera giuridica dei destinatari della propria azione in misura diversa e ultronea rispetto a quanto necessario per il raggiungimento dello scopo al quale l’azione stessa è prefissata. Rappresenta la giusta misura del potere che si deve adeguare alle circostanze di fatto, senza alterare il corretto equilibrio tra i valori, gli interessi e le situazioni giuridiche.
Il principio in esame impone un’indagine trifasica che si articola nell’accertamento dell’idoneità della misura allo scopo da raggiungere, della necessità della misura stessa e della proporzionalità con il fine, riconoscendo preferenza alla misura più mite che permetta, comunque, il raggiungimento dell’obiettivo perseguito dalla norma. Si tratta, appunto, del principio del minimo mezzo, che costituisce un importante parametro di riferimento per verificare la legittimità di un atto delle istituzioni. Irragionevole, e perciò sanzionabile sotto il profilo dell’eccesso di potere sarebbe quindi una misura incidente nella sfera privata non giustificata da specifiche e motivate esigenze di interesse pubblico.
La proporzionalità è già presente nel nostro ordinamento quale manifestazione del principio di ragionevolezza dell’azione amministrativa, le cui misure, destinate a incidere su posizioni private, devono evitare limitazioni non strettamente necessarie per la soddisfazione dell’interesse pubblico. Si guarda essenzialmente al provvedimento adottato in sé, ed è diventato progressivamente un principio dell’agere amministrativo, un suo limite intrinseco, e non più estrinseco al controllo giurisdizionale della legittimità dell’azione amministrativa.
Quanto alle applicazioni dei suddetti principi, rilevano in particolar modo la materia delle sanzioni e del cd. diritto amministrativo punitivo.
Talvolta anche le sanzioni amministrative vengono equiparate dalla Corte europea alle sanzioni penali in applicazione dei cd. Engel criteria.
La Corte EDU ha elaborato dei criteri di natura prettamente sostanziale per qualificare un istituto, sia esso illecito o sanzione, come penali. In particolar modo, ha individuato le seguenti grandi categorie: lo scopo afflittivo e non riparatorio della misura, la gravità della stessa tanto nella previsione astratta che in quella concreta, la rilevanza attribuita dalla disposizione alla gravità del fatto e alla colpevolezza dell’autore, e non tanto al danno o all’offesa causati; infine, rientra nei predetti criteri la connessione della misura con un illecito formalmente qualificato tale.
Si tratta dei cd Engel criteria, così denominati in virtù della storica sentenza del 1976 Engel c/ Paesi Bassi, elaborati, appunto per desumere la natura effettiva delle disposizioni nazionali al fine di estendere le garanzie CEDU all’intera materia sostanzialmente penale
La giurisprudenza della Corte di Strasburgo aderisce a una nozione sostanziale di reato e di pena. Infatti, nonostante sussista una diversa etichettatura giuridica della fattispecie, civile ovvero amministrativa, da parte dell’ordinamento giuridico interno, una qualsivoglia tipologia di condotta illecita sarà considerata sostanzialmente un reato se uno Stato prevede l’irrogazione di una misura sanzionatoria di natura afflittiva e repressiva.
La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha, dunque, sancito il principio secondo il quale si discorra di pene qualora, a seguito di una condotta attiva ovvero omissiva, sia dalla legge prevista l’irrogazione di una misura sanzionatoria di carattere afflittivo e repressivo, nonostante l’ordinamento interno prescrivi l’applicazione di siffatta sanzione in contesti extrapenali.
L’illecito, avrà natura penale, laddove ne consegua l’irrogazione di una tale sanzione, a tutela di un bene giuridico ovvero di un interesse di carattere generale. Per evitare il cosiddetto fenomeno della “frode delle etichette”, la CEDU considera principalmente, secondo una concezione “autonomista” dei reati e delle pene, la natura della misura, che, se punitiva, dovrà essere considerata sostanzialmente una pena e, per l’effetto, dovrà essere soggetta alle garanzie di cui agli artt. 6 e 7 CEDU.
La qualificazione in senso sostanzialmente penale di talune sanzioni amministrative ha innescato un complesso dibattito relativo all’applicazione del principio del ne bis in idem nei doppi regimi sanzionatori.
Infatti, in alcuni settori, al fine di garantire una risposta repressiva più efficace si prevede l’applicazione di un doppio binario sanzionatorio, uno di natura penale e l’altro amministrativa. Il primo comminato all’esito di un giudizio, il secondo erogato al termine di un procedimento demandato alla pubblica autorità.
Orbene al fine di prevenire l’ingiustizia sottesa alla duplicità di persecuzioni e pene a carico del medesimo soggetto per lo stesso fatto storico, la Corte EDU ha ritenuto legittimo un sistema sanzionatori integrato , articolato secondo un approccio unitario e coerente, in procedimenti distinti sempre che le differenti e concorrenti risposte non comportino un sacrificio eccessivo per l’interessato.
Affinchè, dunque, il sistema sia legittimo i procedimenti volti all’applicazione di due diverse tipologie di sanzioni è necessario che operino meccanismi in grado di assicurare conseguenze afflittive nel loro complesso proporzionali e prevedibili.
In applicazione dei principi descritti in premessa, i due procedimenti devono essere condotti in modo da evitare per quanto possibile ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova; deve essere garantito il coordinamento dei due procedimenti relativi all’idem factum; la sanzione afferente a quello che si conclude per primo deve essere tenuta in considerazione nell’altro, e soprattutto deve essere assicurata la proporzione complessiva della pena.
Con specifico riferimento all’accertamento di un omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, la Corte di Giustizia ha ritenuto che il cumulo di procedimenti e sanzioni deve essere giustificato dal perseguimento di un interesse generale e deve essere strettamente necessario rispetto alla gravità dei reati, qualora sia stata inflitta per i medesimi fatti una sanzione amministrativa di natura penale.
Dunque, la verifica della proporzionalità e della proporzione è il vero banco di prova per la compatibilità eurounitaria dei doppi regimi sanzionatori.