L’avulsione (estrazione o caduta) anche di un solo dente fa scattare l’aggravante di cui all’art. 583 c.p.

In tema di lesioni personali, anche l’avulsione di un solo dente fa scattare l’aggravante di cui all’art. 583 c.p., perché produce una menomazione seppur minima della potenzialità di un organo; pertanto, è sufficiente per aversi indebolimento permanente, indipendentemente dalla possibilità di applicare una protesi dentaria.

La Cassazione , con la sentenza n. 4177 del 28 gennaio 2015, ha confermato la condanna di un uomo per il reato di lesioni aggravate ex artt. 582 e 583 c.p., per aver provocato la “completa avulsione traumatica di un incisivo superiore” riportata dalla persona offesa.

A nulla sono valse le doglianze dell’imputato circa il fatto che la vittima non avesse patito alcun indebolimento di organo come previsto dall’art. 583, comma 1, n. 2, c.p., giacché le lesioni avevano solo provocato l’avulsione di un incisivo senza incidere in modo permanente sul suo apparato masticatorio.

Per la S.C., infatti, la decisione del giudice d’appello è esente da vizi logici e di merito: la rottura di un incisivo è una menomazione sufficiente per aversi indebolimento permanente dell’organo della masticazione e rientrare dunque tra le circostanze aggravanti di cui all’art. 583, 1 comma, n. 2 c.p. a prescindere dalla circostanza della possibile applicazione di una protesi dentaria.

Per indebolimento permanente di un senso o di un organo si intende una riduzione anatomo-funzionale di un senso, ossia del complesso di elementi e tessuti che rendono possibili le percezioni del mondo esterno (vista, udito, tatto, olfatto, gusto), ovvero di un organo, per tale intendendosi la parte o l’insieme di parti del corpo umano che servono a una determinata funzione anatomo-fisiologica.

Sussiste l’aggravante dell’indebolimento permanente di un organo qualora, in conseguenza d’un fatto lesivo, esso risulti menomato nella sua potenzialità funzionale, e che perciò risulti ridotta rispetto allo stato precedente.

Con specifico riferimento all’apparato dentario, la giurisprudenza ritiene che lo stesso, assolvendo le funzioni della masticazione, debba considerarsi organo (Cass. pen., sez. V, 3301/83). L’aggravante in oggetto, dunque, non è esclusa per la circostanza che l’organo della masticazione possa riacquistare una completa efficienza attraverso l’applicazione di una protesi, volta che la permanenza dell’indebolimento deve riferirsi non già alla possibilità di utilizzo di mezzi artificiali, bensì alla normale funzione dell’organo stesso (Cass. pen. sez. V, 14768/89).

E’ irrilevante, infatti, che l’indebolimento possa essere eliminato o attenuato mediante interventi chirurgici o apparecchi di protesi, poichè l’atto chirurgico non può essere imposto alla persona offesa e comporta una quota di rischio e di incertezza di insuccesso; circa le protesi correttive esse rappresentano dei mezzi artificiali che non ripristinano la funzione naturale.

Vi è poi da considerare che una menomazione può ripercuotersi contemporaneamente su più funzioni; ad esempio la perdita dei denti incisivi può determinare un pregiudizio estetico e danneggiare la funzione fonatoria e quella masticatoria della vittima.

Le possibilità terapeutiche e protesiche, pur irrilevanti ai fini dell’aggravante in oggetto, sono valutate dal giudice nel graduare l’entità della pena.

La decisione in commento è perfettamente in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale che ha ravvisato l’aggravante dell’indebolimento permanente di un senso o di un organo anche nell’ipotesi di sublussazione e successiva devitalizzazione di un dente in conseguenza della condotta lesiva posta in essere dall’imputato (cfr. Cass. n. 27986/2013; Cass. n. 42114/2011), ovvero in presenza di funzioni già limitate a causa di precedenti anomalie (fattispecie in tema di perdita di due denti incisivi in apparato masticatorio già mancante di due canini) (Cass. n. 1993/1974).

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