Concorso del blogger o dell’Internet service provider nel reato di diffamazione commesso da utenti terzi
Il blogger è un qualsiasi utente di internet che si occupa di aggiornare e gestire una sorta di diario virtuale, ossia un blog, caricando contenuti multimediali di vario genere, come video e immagini. E’, dunque, possibile comunicare i propri stati d’animo, pensieri e opinioni a una moltitudine di altri utenti connessi.
Non è infrequente che i blog vengano utilizzati come veicoli per contenuti offensivi e denigratori dell’altrui dignità. Si configura, pertanto, il reato di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, co.III, c.p..
Non sempre, però, il blogger è anche l’autore dei post offensivi. Si pone, quindi, il problema della configurabilità del concorso tra il blogger stesso e il diverso utente, che ha inserito file lesivi dell’altrui decoro.
Al tal proposito è stata esclusa la responsabilità ex art. 57 cp, che disegna la responsabilità del direttore e del vicedirettore per i reati commessi a mezzo stampa. Non si può assoggettare allo statuto proprio della stampa soggetti che per qualifica e professionalità non appartengono alla stessa.
Astrattamente sono ipotizzabili due figure, ossia una forma di responsabilità ex ante e una ex post. Nel primo caso sarebbe mancato un controllo preventivo e generalizzato da parte del blogger sulle informazioni caricate.
Tuttavia, dottrina e giurisprudenza concordemente hanno escluso detta forma di responsabilità, in quanto il blogger non può esser chiamato a rispondere per una posizione assunta, laddove non abbia signoria sul fatto commesso da terzi.
Discorso simile per l’Internet service provider, che fornisce organizzazione, infrastrutture, servizi, in base a un contratto di fornitura, per contenuti inseriti da soggetti terzi. Nonostante la differenza tra blogger e e provider le problematiche relative alla configurabilità di un concorso nei reati di diffamazione posti in essere dagli utenti presentano profili sovrapponibili.
Quanto alla seconda forma di responsabilità, quella ex post, il discorso è analogo a quello fin qui svolto.
Si potrebbe ipotizzare un tipo di responsabilità nella declinazione omissiva ai sensi degli artt. 40, 595 e 110 cp. Tuttavia, ciò è stato escluso da accorta dottrina e dalla giurisprudenza più recente per entrambe le figure citate. Stante la rilevanza socio-economica ormai assunta dall’internet provider , è stato emanato il d.lgs. 70/2003, in recepimento della direttiva europea 2000/31 CE, il quale ha imposto il dovere di rimuovere immediatamente i contenuti lesivi o disabilitarne l’accesso, non appena il provider sia a conoscenza della manifesta illegalità delle informazioni.
Dunque, si delinea un vero e proprio dovere di rimozione tempestiva del contenuto diffamatorio che sembrerebbe integrare gli estremi dell’art. 40 cp, ossia del reato omissivo, consistente nell’obbligo di impedire l’evento. In realtà, il termine “impedire” attiene a una fase antecedente alla commissione dell’illecito. Nel caso che ci occupa, invece, la condotta, che è a consumazione istantanea, è già stata posta in essere. E’ nell’istante stesso in cui il contenuto diffamatorio viene immesso nella rete che si configura la lesione della reputazione altrui.
Anche se non esiste una norma omologa per la figura del provider, le medesime considerazioni possono essere svolte anche per questo soggetto. Infatti, la giurisprudenza, per non lasciare vuoti di tutela, ha ritenuto di offrire la superiore soluzione interpretativa, estendendo il dettato della normativa citata anche all’internet provider.
In particolar modo, la Corte Cassazione con la sentenza n.12546/19 ha elaborato il meccanismo della cd. pluralità di reati: ossia la diffamazione posta in essere da un utente terzo e la condotta del blogger che non rimuove prontamente i contenuti lesivi, li fa propri e commette un nuovo reato di diffamazione.
Dunque, la Suprema Corte ha scisso la condotta diffamatoria in due, attribuendola a due autori distinti, l’internauta terzo che pubblica il post sulla pagina gestita virtualmente dal blogger e il blogger stesso che non rimuovendo l’informazione, consente l’ulteriore diffusione della stessa e pone in essere ulteriori condotte di diffamazione.
In conclusione, il blogger risponde ex art. 595, co.III, cp nella forma attiva e omissiva, se si considera la mancata rimozione o la nuova pubblicazione.
Infine, è opportuno dar conto del comunicato dell’Ufficio Stampa della Corte Costituzionale del 22 giugno, sulla questione di legittimità costituzionale della previsione della pena detentiva per il delitto di diffamazione a mezzo stampa.
Secondo la Consulta è incostituzionale l’art. 13 della L.47/1948 laddove fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa.
E’ stato, invece, ritenuto compatibile con la nostra Carta costituzionale l’art. 595 co. III cp nella parte che prevede la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa per le ordinarie ipotesi di diffamazione a mezzo stampa o di altra forma di pubblicità. Dunque, per i casi di eccezionale gravità.