LE REGOLE DI AMMINISTRAZIONE DEI BENI IN COMUNIONE ORDINARIA E LEGALE E I RIMEDI ESPERIBILI IN CASO DI VIOLAZIONE
Ai sensi dell’art. 1100 cc la comunione ordinaria si applica quando la proprietà o un altro diritto reale spetta in comune a più persone che ne hanno una quota. Questa rappresenta lo strumento attraverso il quale si concilia l’unicità del diritto con la pluralità di soggetti ed è un’entità frazionaria ideale; costituisce la misura della partecipazione dei singoli comunisti al diritto. Inoltre, rappresenta lo strumento di semplificazione dei rapporti fra comunisti in sede di gestione, godimento e divisione della res comune ai sensi degli artt.1101 e ss.
Dalla chiara definizione codicistica discende che l’istituto non è più dotato del carattere residuale che rivestiva nel codice civile del 1865, ove si parlava genericamente di comunione di beni, proponendone, pertanto, un regolamento generale in ogni caso di mancanza di convenzioni o disposizioni speciali. Ai sensi del vigente art.1100 cc, la disciplina della comunione ordinaria , sempre se il titolo o la legge non dispone diversamente, si applica solo quando la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone, dunque resta aperta la possibilità di estendere in via analogica o diretta la relativa disciplina a ogni rapporto giuridico facente capo a una pluralità di soggetti. Ciò in quanto il menzionato art.1100 cc non circoscrive la nozione di comunione ai diritti reali, ma definisce l’ambito di applicazione della comunione di diritti reali.
Ciascun comproprietario, quindi, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l’intera cosa comune, e non una sua frazione, è legittimato ad agire o resistere in giudizio per la tutela della stessa nei confronti dei terzi o di un singolo condomino, anche senza il consenso degli altri partecipanti.
La comunione può essere ordinaria o pro-indiviso. Nel primo caso si presuppone che il diritto soggettivo abbia a oggetto una cosa unica e indivisibile; nel secondo, vi è una forma impropria di comunione che si configura quando insistono più diritti, distinti l’uno dall’altro su altrettanti beni autonomi tra loro connessi.
Il codice non prevede alcun organo assembleare, come invece nel caso di condominio, in quanto ai sensi dell’art. 1105 cc, co. II, tutti i partecipanti alla comunione hanno diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune. Vi è, quindi, una commistione tra funzione deliberativa e funzione esecutiva.
La gestione è congiunta, ma non unanime, occorrendo solo la maggioranza semplice dei partecipanti per l’amministrazione ordinaria, e la maggioranza qualificata per gli atti di straordinaria amministrazione.
Nella prima categoria rientrano gli atti che attengono all’utilizzazione e conservazione della cosa comune, gli atti diretti al miglior godimento senza l’apporto di innovazioni e quelli volti a stabilire un regolamento della comunione.
Invece, fra gli atti di straordinaria amministrazione si annoverano quelli di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune, quelli di innovazione della cosa comune che comportino l’alterazione della cosa comune o il mutamento di destinazione della res.
Non è, quindi, adottata la regola dell’amministrazione ordinaria disgiuntiva, prevista per le società semplici ex art. 2257 cc, anche se la giurisprudenza, sul presupposto di un rapporto di reciproca rappresentanza tra i partecipanti, afferma di doversi presumere, salvo prova contraria, che il singolo comunista agisca con il consenso degli altri, ad esempio in caso di locazione della cosa comune; nonché, la legittimazione a proporre azioni a tutela del bene in comunione senza la integrazione del contraddittorio.
La dottrina critica la superiore impostazione , in quanto capovolge espressamente la regola dell’amministrazione congiuntiva sancita dal codice, rilevando come le uniche due eccezioni al principio siano da ravvisare nell’art. 1102, co.I, sulle spese per la cosa comune e nell’art. 1105, co.IV, che prevede la possibilità di richiedere l’intervento dell’autorità giudiziale in caso di inerzia amministrativa.
Per quanto attiene specificamente al menzionato regolamento della comunione, l’art. 1107 stabilisce che, una volta approvato a maggioranza semplice, se non impugnato o impugnato senza successo, ha effetto anche per gli eredi e per gli aventi causa dai singoli partecipanti. Giova puntualizzare che la prefata regola vale solo per il regolamento tipico ex art. 1107 cc, laddove per quello contrattuale è necessaria l’unanimità.
Di recente la giurisprudenza si è espressa sulla natura del regolamento, rilevante soprattutto nel settore condominiale: esclusa quella di obbligazione propter rem, viene inquadrato nel novero delle servitù atipiche, in quanto pone limiti all’esercizio del diritto di ciascun condomino, ma non incide sull’estensione del diritto.
Pertanto, l’opponibilità ai terzi acquirenti di tali limiti va regolata secondo le norme proprie della servitù, e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, indicando nella nota di trascrizione, ai sensi dell’art. 2659 co. I n.2 e dell’art. 2665, le specifiche clausole limitative.
Non è sufficiente, infatti, il generico rinvio al regolamento condominiale.
L’art. 1108 cc è dedicato a fissare il quorum deliberativo per l’approvazione delle delibere in tema di innovazione, ossia due terzi del valore complessivo della cosa comune.
Sempre con il favore del superiore quorum i comunisti possono compiere gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, solo se non risultino pregiudizievoli all’interesse di alcuno dei partecipanti ai sensi dell’art. 1108 co.II, cc., e, in applicazione dell’ulteriore restrizione posta al primo comma, senza pregiudicare il godimento di alcuno dei partecipanti e senza importare una spesa eccessivamente gravosa.
Al terzo comma del medesimo art. 1108 cc viene dettato il principio dell’unanimità per gli atti di disposizione, e in particolare per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni. Il quarto comma, invece, segna un’eccezione valevole per le ipoteche concesse a garanzia della restituzione delle somme mutuate per la ricostruzione o per il miglioramento della cosa comune, per le quali, dunque, si ripristina la regola della maggioranza qualificata.
L’impugnazione delle deliberazioni è regolata dall’art. 1109 cc.. Al di là delle ordinarie ipotesi di nullità e annullabilità, assenti e dissenzienti possono comunque impugnare entro trenta giorni dalla delibera o dalla sua comunicazione le decisioni gravemente pregiudizievoli della cosa comune, quelle sulle quali non vi sia stata preventiva informazione ai sensi dell’art. 1105 , III co., cc., nonché quelle adottate in contrasto con i limiti di cui ai primi due commi dell’art. 1108 cc. .
Sicchè, laddove non sia stato osservato il criterio della maggioranza qualificata per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione la delibera risulta impugnabile; qualora non sia stato adottato il criterio dell’unanimità, laddove obbligatorio, il vizio si riflette direttamente sul negozio, il quale va qualificato come atto di disposizione di cosa altrui o parzialmente altrui.
Infine, è opportuno dar conto di una questione molto particolare in tema di contratto preliminare concluso tra uno soltanto dei comproprietari e un soggetto terzo, avente a oggetto, l’intero bene e non la singola quota. Ebbene, occorre premettere come l’art. 1103, co.I, cc disciplini la libera disponibilità delle quote, ossia del diritto del partecipante alla comunione, ai fini del godimento del bene. Secondo l’opinione maggioritaria di dottrina e giurisprudenza, si tratta di un principio generale che ammette deroghe pattizie predisposte dagli stessi partecipanti. Questi , pertanto, possono vincolarsi a non disporre della cosa comune in modo autonomo secondo le quote ideali spettanti a ciascuno, bensì congiuntamente, ognuno insieme a tutti gli altri. La disponibilità del bene può riguardare anche la possibilità di cedere quote del bene pro indiviso, ditalchè l’acquirente subentri nella comunione.
Ebbene, le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto che la promessa in vendita di un bene in comunione è considerata di norma afferente a un bene inteso come un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote, quindi i comproprietari vengono a costituire un’unica volontà negoziale. Qualora una di tali dichiarazioni manchi o sia invalida, non si formi o si formi invalidamente, si esclude che il promissario acquirente ottenga una sentenza costitutiva ex art. 2932 cc nei confronti dei soli comproprietari promittenti. Rispetto a quelli rimasti estranei al preliminare il contratto sarà inefficace. Non è nemmeno configurabile un interesse alla esecuzione parziale da parte dell’acquirente per mancanza del diritto sul quale si dovrebbe fondare tale interesse.
Nel caso, poi, di un contratto preliminare del preliminare avente a oggetto la vendita di un bene in comunione pro indiviso, la giurisprudenza ha ritenuto che sussistano i presupposti dell’obbligazione solidale passiva ex art. 1292, cosicchè la domanda di risarcimento del danno per inadempimento può essere proposta dal promissario acquirente nei confronti di uno solo dei comproprietari, in quanto non ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario.
Quanto alla comunione legale, essa costituisce il regime patrimoniale legale dei coniugi ovvero delle parti dell’unione civile implicante la contitolarità e la cogestione degli acquisti. Gli altri regimi patrimoniali della famiglia, che ricomprendono le regole sulle spettanze e i poteri dei coniugi e delle parti dell’unione civile in ordine all’acquisto e alla gestione dei beni, sono la separazione dei beni, caratterizzata dalla titolarità esclusiva degli acquisti e dalla separatezza della gestione, e il fondo patrimoniale, volto alla cogestione di uno o più beni vincolati finalisticamente al soddisfacimento dei bisogni della famiglia.
Prima della riforma del diritto di famiglia la comunione legale costituiva un’ipotesi di convenzione matrimoniale raramente utilizzata nella pratica.
Ebbene, essa oggi, in assenza di diversa convenzione, comporta ope legis la contitolarità e la cogestione da parte dei coniugi e delle parti dell’unione civile ai sensi della L.76/16 dei beni acquistati anche separatamente in costanza di matrimonio o di unione civile, appunto. Nei confronti di detti beni vige una presunzione di comproprietà; infatti ex art. 177 cc non è un regime inderogabile, ma si applica automaticamente.
Parimenti l’art. 1 comma I, della L.76/16 prevede che il regime patrimoniale dell’unione civile tra persone dello stesso sesso sia costituito dalla comunione dei beni, in mancanza di una diversa convenzione patrimoniale.
A differenza della comunione legale, quella ordinaria è statica o di godimento, ed è regolata secondo lo schema tecnico-giuridico della comunione di tipo romanistico, per cui ciascun comunista può liberamente disporre della sua quota senza con ciò pregiudicare l’intero. Tale quota in quanto entità frazionaria ideale del bene, può variare nella sua misura da comunista a comunista.
In ciò risiede la principale differenza tra le due differenti tipologie di comunione.
Sulla scorta di ciò, l’indirizzo prevalente in dottrina e giurisprudenza riconduce la comunione legale alla figura della comproprietà solidale o “a mani riunite”, secondo lo schema germanistico.
In esso i comunisti sono solidalmente titolari di un diritto avente per oggetto ciascuno e tutti i beni della comunione. Ciò in ragione del fatto che l’interesse individuale del singolo partecipe è subordinato all’interesse sociale del gruppo-famiglia.
Alla luce di quanto sopra, alcuni beni possono formare oggetto di proprietà esclusiva di ciascuno dei coniugi e taluni rientrare in comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di essa.
Rientrano nella comunione legale gli acquisti compiuti dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio ad esclusione di quelli relativi ai beni personali, le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, gli utili e gli incrementi delle aziende.
Necessario corollario del suddetto regime è l’amministrazione comune dei beni della comunione e la regola dell’uguaglianza dei poteri di cogestione e dei diritti, in applicazione dei principi costituzionali di parità e solidarietà di cui agli artt. 2,3 e 29 Cost.
Anche in tema di comunione legale si distingue tra atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione.
I primi , per esempio gli atti di utilizzazione, conservazione o manutenzione che riguardano i bisogni ordinari della famiglia, possono essere compiuti validamente da ciascuna parte disgiuntamente.
I secondi, tra i quali gli atti di disposizione o alterazione del patrimonio nonché di stipula di contratti con i quali si acquistano diritti personali di godimento, spettano congiuntamente a entrambi i coniugi o parti dell’unione civile. Ne consegue che, con i riferimento a tale ultima categoria, il singolo non ha potere di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell’intero bene comune, previo consenso dell’altro.
L’art. 180 detta una disciplina inderogabile ex art. 210, co.III, cc. . Tuttavia gli artt. 181, 182 e 183 cc individuano taluni casi eccezionali, nei quali il coniuge o la parte dell’unione civile può compiere atti di straordinaria amministrazione anche senza il consenso dell’altro o a fronte del rifiuto di quest’ultimo.
Al di fuori di tali casi, la mancanza del consenso dell’altro coniuge o della parte dell’unione civile importa ai sensi dell’art.184 cc conseguenze diverse a seconda della natura del bene che forma oggetto dell’atto di straordinaria amministrazione. Per i beni immobili o mobili registrati, l’atto è suscettibile di annullamento da parte del pretermesso entro l’anno dalla data nella quale ha avuto conoscenza e in ogni caso entro l’anno dalla data della trascrizione. Se l’atto non è stato trascritto o la conoscenza è avvenuta prima dello scioglimento della comunione, l’azione non può essere proposta oltre l’anno dallo scioglimento stesso.
Se ha oggetto beni mobili, l’atto rimane pienamente valido, salvo l’obbligo di colui che l’ha compiuto senza il dovuto consenso di reintegrare, su istanza dell’interessato, il patrimonio comune in natura o per equivalente.
La tutela del terzo è massima quando l’atto riguardi beni mobili, in quanto esso rimane valido ed efficace per il terzo predetto, risolvendosi l’eventuale situazione di pregiudizio al livello interno tra i coniugi o le parti dell’unione civile.
La Cassazione ha precisato che, per quanto concerne i rapporti con i terzi, ciascun coniuge non ha diritto di disporre della propria quota, ma dell’intero bene comune, configurando così il consenso dell’altro come un negozio unilaterale autorizzativo, che rimuove un limite legale all’esercizio del potere dispositivo sul bene. Il consenso rappresenta, dunque, un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell’atto di disposizione, la cui mancanza si traduce in un vizio da far valere nei termini fissati dall’art. 184 cc., ove si tratti di un bene immobile o mobile registrato.
Tra gli atti di straordinaria amministrazione si suole annoverare anche la stipulazione di un contratto preliminare di vendita di un bene immobile, in quanto eccedente la normalità degli atti da valutarsi sotto il profilo qualitativo e quantitativo.
Ciò posto, in assenza del necessario consenso di un coniuge, la sanzione speciale nella quale incorre il contratto è l’annullabilità ex art. 184 cc. esperibile da parte del pretermesso. Con la conseguenza che finchè detta azione non viene proposta, il preliminare è produttivo di effetti.
Alla base di tale soluzione vi è sempre la valorizzazione delle peculiarità del regime di comunione a mani riunite. Infatti, mentre nella comunione ordinaria la mancanza del consenso di tutti i comunisti determina la radicale inesistenza o nullità del contratto per mancata formazione del consenso di una delle due parti, per converso nella speculare ipotesi di promessa di vendita di un bene in comunione legale, la sanzione per la mancata acquisizione del consenso dell’altro coniuge sarà la più blanda annullabilità ex art. 184 cc.
Questo perché i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, ma solidalmente titolari di un diritto avente a oggetto i beni della comunione. Nei rapporti con i terzi ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni e, dunque, può efficacemente stipulare un contratto preliminare salvo le sanzioni di cui all’art. 184 cc.
Dunque, non può non riconoscersi l’esperibilità dell’azione di cui all’art. 2932 cc da parte del promissario acquirente nei confronti del coniuge stipulante.
In tal senso si è espressa la Cassazione con una significativa pronuncia a Sezioni Unite, la quale ha, inoltre, superato il nodo relativo alla legittimazione passiva del coniuge pretermesso nel giudizio instaurato dal promissario acquirente. Muovendo dalla specificità del regime della comunione legale, e superando i contrasti sorti, le Sezioni Unita hanno concluso per la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del coniuge escluso in ragione del fatto che la mancata partecipazione non esclude che il soggetto pretermesso possa risentire degli effetti di un atto dispositivo sui beni della comunione. I detti effetti possono interessare il patrimonio comune e il tenore di vita della famiglia giacchè ex art. 189 cc sono esposti all’altrui azione esecutiva i beni del promittente e quelli della comunione.
Per altro verso la partecipazione al giudizio del coniuge rimasto estraneo si impone ai sensi dell’art. 180, il quale impone per gli atti di straordinaria amministrazione la partecipazione congiunta dei coniugi.
Un ultimo aspetto rilevante riguarda la legittimazione attiva del coniuge che non ha preso parte al contratto preliminare. La Cassazione è ferma nel negarla , sviluppando le sue motivazioni in coerenza con l’esclusione dei diritti di credito dalla comunione, per la loro natura personale e relativa. Ciò porta sistematicamente a far escludere alla Suprema Corte la legittimazione del coniuge promissario acquirente ad agire ex art. 2932 cc. per l’adempimento in forma specifica del preliminare di acquisto.