Danni causati dalla fauna selvatica, la Cassazione cambia orientamento
La recente sentenza della Suprema Corte la n. 13848/2020 ritorna sulle conseguenze dei danni causati dalla fauna selvatica, tema tanto caro ai cacciatori e in genere a chi si trova ad attraversare strade sulle quali corrono animali salvatici, come cinghiali e mufloni nel nostro bel Gargano.
Per l’esattezza, quanto al regime di imputazione della responsabilità, in applicazione del criterio oggettivo di cui all’art. 2052 c.c., sarà a carico del preteso danneggiato allegare e dimostrare che il pregiudizio lamentato sia stato causato dall’animale selvatico. Siffatto onere potrà ritenersi soddisfatto allorchè sia stata dimostrata la dinamica del sinistro, nonchè il nesso causale tra la condotta dell’animale e l’evento dannoso subito, oltre che l’appartenenza dell’animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla L. n. 157 del 1992, o, comunque, che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato.
Nella peculiare ipotesi – invero, statisticamente piuttosto frequente – di danni derivanti da incidenti stradali che abbiano coinvolto veicoli e animali selvatici, non potrà ritenersi sufficiente la sola dimostrazione della presenza dell’animale sulla carreggiata, e dell’impatto tra lo stesso ed il veicolo, in quanto il danneggiato, oltre a dover provare che la condotta dell’animale sia stata la “causa” dell’evento dannoso, è comunque onerato – ai sensi dell’art. 2054 c.c., comma 1 – della prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno, cioè di avere, nella specie, adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida.
Invero, che il criterio di imputazione della responsabilità a carico del proprietario di animali di cui all’art. 2052 c.c., non impedisca l’operatività della presunzione prevista dall’art. 2054 c.c., comma 1, nei confronti del conducente di veicolo senza guida di rotaie per danni prodotti a persone o cose, compresi anche gli animali, dalla circolazione del veicolo, è affermazione costante nella giurisprudenza di questa Corte.
E ciò sul presupposto che l’art. 2054 c.c., esprima principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che subiscano danni dalla circolazione (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 3, sent. 7 marzo 2016, n. 4373, Rv. 639473-01; Cass. Sez. 3, sent. 6 agosto 2002, n. 11780, Rv. 556722-01).
Quanto alla prova liberatoria, che ha ad oggetto la dimostrazione che il fatto sia avvenuto per “caso fortuito”, premesso che essa non riguarda direttamente il nesso di causa tra la concreta e specifica condotta dell’animale ed il danno causato da tale condotta, consisterà nel dimostrare che la condotta dell’animale si sia posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, operando, così, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno.
Occorrerà provare che si sia trattato di una condotta che non era ragionevolmente prevedibile e/o che, comunque, non era evitabile, e ciò anche mediante l’adozione delle più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo della fauna (e di connessa protezione e tutela dell’incolumità dei privati), concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto, purchè, peraltro, sempre compatibili con la funzione di protezione dell’ambiente e dell’ecosistema cui la stessa tutela della fauna è diretta.
Viene in rilievo, in proposito, una nozione di caso fortuito analoga a quella elaborata da questa stessa Corte, con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 2051 c.c., in particolar modo con riguardo all’ipotesi di danni causati da anomalie dei beni demaniali di ampia estensione, in cui si dà rilievo alla concreta esigibilità da parte dell’ente pubblico di una condotta, nella manutenzione del bene e nell’adozione di misure di protezione degli utenti, tale da poter effettivamente impedire il danno (cfr., tra le più recenti, Cass. Sez. 3, ord. 18 giugno 2019, n. 16295, Rv. 654350-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 marzo 2019, n. 6326, Rv. 653121-01; Cass. Sez. 6-3, ordinanza 23 gennaio 2019, n. 1725, Rv. 652290-01).
Infine, chiariti i termini in cui l’attore/danneggiato è tenuto ad assolvere i propri oneri probatori, e la Regione, per parte propria, a fornire la prova del caso fortuito, qualora essa, convenuta in giudizio per il risarcimento, reputi che le misure idonee ad impedire il danno avrebbero dovuto essere adottate da un altro ente, potrà – anche in quello stesso giudizio – agire in rivalsa, senza, però, che ciò implichi modifica, in relazione all’azione posta in essere dal danneggiato, del criterio di individuazione del titolare, da lato passivo, del rapporto dedotto in giudizio.
Di conseguenza, solo con riferimento dell’azione di rivalsa tra la Regione e l’ente da questa indicato come effettivo responsabile potranno.e quindi limitatamente al rapporto processuale tra di essi intercorrente, assumere rilievo tutte le questioni inerenti al trasferimento o alla delega di funzioni alle Province (ovvero eventualmente ad altri enti) e l’effettività della delega stessa (anche sotto il profilo del trasferimento di adeguata provvista economica, laddove ciò possa ritenersi rilevante in tale ottica), così come tutte le questioni relative al soggetto effettivamente competente a porre in essere ciascuna misura di cautela.