Divieto di licenziamento per causa di matrimonio, ma solo per le lavoratrici
Con la recentissima sentenza n. 28926 del 12 novembre 2018, la Corte di Cassazione interviene per la prima volta sull’operatività del divieto di licenziamento per causa di matrimonio, di cui all’art. 35, D.Lgs. n. 198/2006, nei confronti del lavoratore, dirimendo un contrasto sorto e insistente nelle Corti di merito.
Secondo la Suprema Corte non sono ravvisabili profili di discriminatorietà per ragioni di sesso, e, quindi, dà la corretta lettura dell’art. 35, D.Lgs n. 198/2006 – nel quale sono confluiti gli artt. 1, 2 e 6 Legge n. 7/1963 – definendolo “ approdo della tutela costituzionale assicurata ai diritti della lavoratrice madre”.
La Legge n. 7 del 1963, ricorda la Corte facendosi guidare dal pensiero della Corte Costituzionale espresso nel primo precedente intervenuto sul punto (Corte Cost. n. 27/1969), costituisce la risposta del Legislatore alla prassi diffusa dei licenziamenti delle lavoratrici in occasione delle nozze, alimentata dall’intento di evitare che l’organizzazione aziendale subisse gli effetti ed i disagi connessi con la maternità che verosimilmente il matrimonio porta con sé, come anche all’esigenza di tutelare il diritto della donna lavoratrice alla conservazione del posto di lavoro in contrapposizione alle esigenze aziendali datoriali.
La disposizione, dunque, appare sorretta da diversi principi costituzionali – in particolare quello sancito dall’art. 37 Cost., di fissazione di condizioni di lavoro per la donna compatibili con l’adempimento della sua funzione familiare, sull’evidente presupposto della sua libertà di diventare sposa e madre – che ben giustificano misure legislative dirette a tutelare il diritto della lavoratrice al lavoro e alla armonizzazione di esso con la sua funzione essenziale di madre.