In tema di utilizzabilità delle dichiarazioni dell’indagato, le dichiarazioni spontanee anche se rese in assenza del difensore e senza l’avviso di poter esercitare il diritto al silenzio sono utilizzabili nella fase procedimentale, nella misura in cui emerga con chiarezza che l’indagato abbia scelto di renderle liberamente, senza alcuna coercizione o sollecitazione; si tratta peraltro di dichiarazioni che hanno un perimetro di utilizzabilità circoscritto alla fase procedimentale e dunque all’incidente cautelare, ed ai riti a prova contraria, ma che non hanno alcuna efficacia probatoria in dibattimento.
E’ quanto stabilito con la sentenza n. 14320/2018 della Cassazione Penale – Sezione II.
Il Collegio ha sostenuto che: «Il legislatore italiano ha ritenuto di individuare il momento in cui è necessario fornire le informazioni di garanzia in quelli dell’applicazione delle misure cautelari e del compimento di atti ai quali il difensore ha diritto di assistere; ha ritenuto invece di lasciare all’indagato la possibilità di entrare in contatto con la polizia giudiziaria procedente in modo spontaneo e deformalizzato nel corso di tutta la attività processuale. Si tratta di una scelta che trova la sua giustificazione nel fatto che le dichiarazioni spontanee non sono funzionali a raccogliere elementi di prova, ma piuttosto a consentire all’indagato di interagire con la polizia giudiziaria in qualunque momento egli lo ritenga, esercitando un suo diritto personalissimo».
Infatti, l’accesso al rito a prova contratta si risolve in una rinuncia – espressa e personalissima dell’imputato – al contraddittorio, così che diventano utilizzabili tutti gli atti formati nel corso delle indagini preliminari, e quindi anche le dichiarazioni spontanee, che nella procedura ordinaria del dibattimento sono invece destinate a perdere efficacia.