Il codice del consumo si applica anche agli animali di affezione
L’acquirente di un cane ha lamentato un “vizio del bene compravenduto”, consistente in una patologia congenita dell’animale.
Il compratore ha, dunque, agito verso il venditore, risultando però soccombente sia in primo che in secondo grado sul presupposto della tardività della denuncia del vizio.
La Cassazione (con la sentenza 25 settembre 2018, n. 22728) ha colto l’occasione per rafforzare la divisione fra titolare di diritti e oggetto di diritti (altrui), marcando il confine fra “essere senziente” e “soggetto di diritto”.
Il thema decidendum era, dunque, quello dell’applicabilità al contratto in questione, afferente un animale di affezione, del Codice del consumo (il quale, come noto, consente di denunciare i vizi della cosa oltre lo stringente termine di otto giorni codicistico).
E in tale contesto la Suprema Corte ha chiarito come l’art. 1496 c.c. (rubricato “Vendita di animali”) debba interpretarsi alla luce del codice del consumo. Codice ,il quale si applica a tutte le compravendite di beni giuridici e, dunque, anche di animali d’affezione.
Si ricorda come il tema sia quantomeno attuale, visto il progetto di codice delle disposizione per la tutela degli animali d’affezione, ipresentato dall’on. Brambilla, il cui primo articolo prevede il riconoscimento in capo agli animali di affezione dello status di “esseri senzienti” e il “diritto al benessere” (secondo le proprie caratteristiche biologiche).