Il danno pensionistico e la costituzione della rendita vitalizia reversibile
La prescrizione dei contributi previdenziali e l’omissione contributiva da parte del datore di lavoro determinano un pregiudizio alla “giusta posizione contributiva” del lavoratore; una volta prescritto il credito dell’ente previdenziale, infatti, si perfeziona ulteriormente il danno in capo al lavoratore.
Questi potrà vedersi posticipato il momento del pensionamento ovvero vedersi corrispondere un trattamento pensionistico inferiore.
Dunque, il legislatore appronta vari strumenti risarcitori, tra i quali quello previsto dall’art. 13 L. 1338/63.
La costituzione di una rendita vitalizia, che integri o sostituisca il trattamento pensionistico, rappresenta il rimedio principe espressamente stabilito dal legislatore in favore dei lavoratori che abbiano subito un’omissione contributiva.
La disposizione citata prevede che “il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione ai sensi dell’art. 55 del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827 [v. oggi l’art. 3, comma 9, L. n. 335/1995], può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo quarto comma, una rendita vitalizia riversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi”. Per la costituzione della rendita, il datore di lavoro deve versare all’INPS la riserva matematica calcolata in base alle tariffe determinate con decreto del Ministro del lavoro (v. il D.M. 19 febbraio 1981, che contiene i modelli attuariali per la determinazione della riserva matematica).
Poiché la disposizione precisa che “la rendita integra con effetto immediato la pensione già in essere” ovvero che, se il lavoratore non abbia ancora raggiunto l’età pensionabile, i contributi “sono valutati a tutti gli effetti ai fini dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti”, la giurisprudenza ha ritenuto che il rimedio rappresenti un’ipotesi di risarcimento in forma specifica del danno da omissione contributiva subito dal lavoratore, il quale viene infatti reintegrato nella posizione contributiva o pensionistica nella quale si sarebbe dovuto trovato se non si fosse verificata l’omissione.
Quanto all’ambito di applicazione del rimedio, la Corte costituzionale ha precisato che esso è esperibile non solo dai lavoratori subordinati, ma da tutte le categorie di lavoratori che non hanno “una posizione attiva nel determinismo contributivo” , ivi inclusi, dunque, i collaboratori coordinati e continuativi (come specificato dalla Circ. INPS 26 luglio 2010, n. 101), con esclusione invece dei professionisti, senza che ciò costituisca una lesione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., non potendosi parificare le diverse situazioni dei suddetti lavoratori .
Infine, si precisa come l’azione giudiziaria volta ad ottenere la menzionata rendita vitalizia segua il termine ordinario di prescrizione, ossia 10 anni dalla prescrizione dei contributi previdenziali omessi.
Pertanto, decorsi i menzionati 10 anni non sarà più esperibile.