Diritto al compenso del professionista: l’ultima pronunzia sul tema

Diritto al compenso del professionista: Cass. Civ., Sez. III, 21 giugno 2018, n. 16342.

La prestazione di un avvocato deve ragionevolmente configurarsi, secondo una classica distinzione, invero ancora attuale, in materia di prestazione d’opera professionale, come un’obbligazione di mezzi e non di risultato.

Da tale assunto, ravvisabile nell’art. 2237 c.c., ne deriva che debba essere posto a carico del cliente recedente dal contratto il compenso per l’opera svolta, anche a prescindere dall’utilità che ne sia effettivamente derivata; principio che può essere derogato solo per espressa volontà dei contraenti, che possono scegliere di subordinare il diritto de quo del professionista alla realizzazione di un determinato risultato. In tal caso,  il mancato verificarsi dell’evento dedotto come oggetto della condizione sospensiva comporterà l’esclusione dell’obbligazione di corrispondere il compenso, salvo che il recesso ante tempus da parte del cliente sia stato causa del venir meno del risultato oggetto di tale condizione (Cass. Civ., Sez. II, 14 agosto 2012, n. 14510).

Nell’ipotesi in cui un’azione giudiziale svolta nell’interesse del cliente non abbia portato  alcun risultato utile, anche a causa della negligenza o di omissioni del professionista, non è, sic et simpliciter, configurabile un’automatica perdita del diritto al compenso da parte dello stesso professionista, laddove non sia accertata, al contempo, la sussistenza di una condotta negligente causativa di un effettivo danno, corrispondente al mancato riconoscimento di una pretesa con tutta probabilità fondata.

A ciò si aggiunga che ex art. 1709 c.c. il mandato si presume oneroso, salvo prova contraria; dunque, ogni qualvolta un professionista venga interpellato, sarà suo diritto vedersi corrispondere il giusto onorario pattuito tra le parti, o, in mancanza, dai parametri relativi alla tipologia di professione svolta dal professionista stesso, e per ogni segmento di intervento dello stesso, cioè dalla fase “consultiva” a quella “esecutiva”.

La norma da ultimo citata stabilisce un ordine gerarchico in base al quale il corrispettivo deve essere quantificato: in primis, l’accordo delle parti, poi le tariffe professionali o gli usi, ed infine dal giudice.

Se il compenso dovrà essere liquidato dal giudice, questi dovrà decidere secondo equità, ossia contemperando gli interessi contrapposti delle parti, e tenendo presente il tipo di attività svolta ed il tempo impiegato per eseguirla.

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